Le sanzioni sproporzionate devono essere disapplicate anche in caso di contrabando – Avv. Matteo Demetri (desde Italia)

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Con la sentenza 4 luglio 2023, n. 94 la Corte di Giustizia tributaria di Imperia ha annullato la confisca doganale di uno yacht attraccato nel porto della città di Imperia in quanto irrispettosa del principio di proporzionalità delle sanzioni. Tale pronunciamento riveste particolare rilievo in quanto, in aperto contrasto rispetto ai consolidati orientamenti sul tema, costituisce il primo caso di diretta disapplicazione dell’art. 301 TULD per contrasto all’art. 42 CDU.

La giurisprudenza, infatti, si era sino ad ora pronunciata sul diverso art. 303 TULD, ossia su fattispecie sanzionatorie non scaturenti da contrabbando.

 

La soluzione adottata, certamente condivisibile, appare di interesse sotto molteplici aspetti, offrendo l’occasione per alcune sintetiche riflessioni sulla proporzionalità delle sanzioni.

La vicenda trae origine da un accertamento dell’Agenzia delle dogane, con il quale era stata contestata la violazione del regime di ammissione temporanea in relazione a un’imbarcazione battente bandiera extra-UE. L’Ufficio ha contestato, in particolare, il mancato pagamento dei diritti di confine, ipotizzando una fattispecie di contrabbando. Nonostante il contribuente avesse versato l’Iva all’importazione dovuta e le sanzioni in misura agevolata avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso (ai sensi dell’art. 13, d.lgs. 472/1997), la Dogana aveva disposto la confisca del bene.

 

L’Agenzia ha ritenuto, infatti, che la definizione della sanzione principale non impedisse l’applicazione della confisca.

 

Com’è noto, la disciplina del contrabbando non qualifica la confisca come una “sanzione accessoria”, ma si limita a prevedere che “nei casi di contrabbando è sempre ordinata la confisca” (art. 301 Tuld).

 

Proponendo ricorso con nove motivi, il contribuente deduceva – per quanto di nostro interesse – la violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni di cui all’art. 42 del CDU.

 

Secondo i legali che hanno assistito il contribuente, infatti, una pena pari al 480% rispetto al tributo contestato non poteva dirsi in linea con quanto previsto all’art. 42, par. 1, del CDU, secondo il quale le sanzioni devono “essere effettive, proporzionate e dissuasive”.

 

Alla luce di ciò, il Giudice di merito affermava che nel caso di specie, la sanzione applicata dall’Ufficio fosse pari a circa il 455% rispetto al tributo contestato (mancato versamento IVA all’importazione per 39.600,00 e confisca di un bene del valore di 180.00,00) e quindi la stessa fosse “eccessiva ed irrispettosa dei principi affermati dall’Unione Europea in tema di proporzionalità delle sanzioni”. Non teneva conto, peraltro, dell’atteggiamento collaborativo del contribuente.

 

Conseguentemente, veniva accolto il ricorso in relazione a tale motivo.La pronuncia in parola ed il quadro normativo in estrema sintesi ricostruito permettono di svolgere un paio di riflessioni.

 

Secondo la Corte di Lussemburgo, invero, le sanzioni tributarie non possono essere applicate in modo automatico senza assicurarsi che non eccedano quanto necessario per conseguire gli obiettivi consistenti nell’assicurare l’esatta riscossione dei tributi e nell’evitare l’evasione. In caso di alternativa tra misure diverse, la dogana deve pertanto adottare quella che impone oneri minori o, comunque, quella meno restrittiva.

Al fine di valutare se una sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a penalizzare.

 

In altre parole, tale pronuncia consolida ancor di più – ed applica ad una fattispecie particolare  –  l’orientamento – recentemente fatto proprio dalla Cassazione (tra le altre, Cass., ordinanza 13 luglio 2023, n. 20058) –  secondo cui le sanzioni irrogate per omesso pagamento dei diritti devono essere sempre parametrate all’effettivo disvalore dell’illecito commesso.

 

Traguardando la questione da un altro angolo visuale, tale pronunciamento merita condivisione in quanto tutela il diritto di proprietà da misure ablative sproporzionate in contrasto (anche) con l’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU.

La disposizione, in particolare, contiene tre regole distinte. La prima, che è espressa nel primo periodo del primo comma, stabilisce il principio del pacifico godimento della proprietà in generale. La seconda regola, contenuta nella seconda frase dello stesso paragrafo, tutela la privazione della proprietà e la sottopone a determinate condizioni. La terza, esplicitata nel secondo comma, riconosce agli Stati contraenti il diritto, tra l’altro, di controllare l’uso della proprietà in conformità con l’interesse generale.

 

In estrema sintesi, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo la limitazione del diritto di proprietà è manifestamente sproporzionata, e quindi illegittima, quando viene compromesso l’equilibrio tra le finalità repressive e afflittive da un lato e il sacrifico patito dal trasgressore dall’altro (tra le altre, Corte europea dei diritti dell’uomo, 15 novembre 2018, Togrul v. Bulgaria).

La Corte di Strasburgo, in particolare, riconosciuto tale possibile sindacato sull’operato degli stati, ne ha fatto, nel corso degli anni un esercizio significativo.

Risalgono ad un decennio fa infatti le prime pronunce della Corte Edu, che hanno affermato che può rilevare nel campo del menzionato art. 1 un’applicazione sproporzionata di provvedimenti cautelari pro fisco (vedasi, ad esempio, Corte Edu, 1 febbraio 2011, Metalco vs Ungheria, concernente il sequestro di beni di valore sproporzionato rispetto al debito tributario).

 

Deve sempre raggiungersi, pertanto, un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della collettività e le esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona.

En español

Deben eliminarse sanciones desproporcionadas en casos de contrabando

Con sentencia de 4 de julio de 2023, n. 94 el Tribunal Fiscal de Justicia de Imperia anuló la confiscación aduanera de un yate atracado en el puerto de la ciudad de Imperia por no respetar el principio de proporcionalidad de las sanciones. Esta sentencia reviste particular importancia ya que, en abierto contraste con las directrices consolidadas sobre el tema, constituye el primer caso de inaplicación directa del art. 301 TULD por contraste con el art. 42 UCC.

La jurisprudencia, de hecho, se había pronunciado hasta ahora sobre el diferente art. 303 TULD, es decir, sobre sanción de casos que no se deriven del contrabando.

La solución adoptada, ciertamente aceptable, parece interesante desde muchos aspectos y ofrece la oportunidad de hacer algunas breves reflexiones sobre la proporcionalidad de las sanciones.

El asunto tiene su origen en una investigación de la Agencia de Aduanas, que impugnó la infracción del régimen de admisión temporal en relación con un buque que enarbolaba pabellón extracomunitario. La Oficina impugnó, en particular, el impago de los derechos fronterizos, alegando que se trataba de un caso de contrabando. Aunque el contribuyente había pagado el IVA adeudado a la importación y las sanciones a un tipo reducido haciendo uso de la institución del arrepentimiento voluntario (de conformidad con el artículo 13 del Decreto Legislativo 472/1997), la Aduana había ordenado la confiscación del Pozo.

De hecho, la Agencia consideró que la definición de la sanción principal no impedía la aplicación del decomiso.

Como es sabido, las normas sobre contrabando no califican el decomiso como una «sanción accesoria», sino que simplemente establecen que «en los casos de contrabando, siempre se ordena el decomiso» (art. 301 Tuld).

Proponiendo un recurso de apelación con nueve motivos, el contribuyente dedujo -en lo que nos interesa- la vulneración del principio de proporcionalidad de las sanciones a que se refiere el art. 42 de la UCC.

Según los abogados que asistieron al contribuyente, de hecho, no se puede decir que una sanción equivalente al 480% del impuesto en litigio sea conforme a lo dispuesto en el art. 42, párr. 1 de la UCC, según el cual las sanciones deben «ser efectivas, proporcionadas y disuasorias».

Ante esto, el Juez de mérito señaló que en el presente caso la sanción aplicada por la Fiscalía equivalía aproximadamente al 455% del impuesto en litigio (falta de pago del IVA de importación de 39.600,00 y decomiso de un bien del valor de 180,00,00) por lo que la misma resultó «excesiva e irrespetuosa con los principios establecidos por la Unión Europea en materia de proporcionalidad de las sanciones». Además, no tuvo en cuenta la actitud colaborativa del contribuyente.

 

En consecuencia, se aceptó el recurso de apelación en relación con este motivo.

La pronunciación en cuestión y el marco legislativo reconstruido en pocas palabras nos permiten realizar un par de reflexiones.

De hecho, según el Tribunal de Luxemburgo, las sanciones fiscales no pueden aplicarse automáticamente sin garantizar que no exceden de lo necesario para alcanzar los objetivos de garantizar la recaudación exacta de los impuestos y evitar la evasión fiscal. Por tanto, en caso de alternativa entre diferentes medidas, la aduana debe adoptar la que imponga menores cargas o, en todo caso, la menos restrictiva.

Para evaluar si una sanción respeta el principio de proporcionalidad, es necesario tener en cuenta, en particular, la naturaleza y la gravedad de la infracción que la sanción pretende sancionar.

 

En otras palabras, esta sentencia consolida aún más – y se aplica a un caso particular – la orientación – recientemente refrendada por el Tribunal Supremo (entre otras, Casación, auto de 13 de julio de 2023, n. 20058) – según la cual las sanciones impuestas por no -El pago de los derechos debe ir siempre ligado al valor negativo real de la infracción cometida.

Viendo la cuestión desde otra perspectiva, esta sentencia merece ser compartida ya que protege el derecho a la propiedad de medidas ablativas desproporcionadas en contraste (también) con el art. 1 del Primer Protocolo Adicional al CEDH.

En particular, la disposición contiene tres normas distintas. El primero, que se expresa en la primera frase del primer párrafo, establece el principio del disfrute pacífico de la propiedad en general. La segunda norma, contenida en la segunda frase del mismo párrafo, protege la privación de bienes y la sujeta a determinadas condiciones. El tercero, explicado en el segundo párrafo, reconoce a los Estados Contratantes el derecho, entre otras cosas, a controlar el uso de los bienes de conformidad con el interés general.

En pocas palabras, según el Tribunal Europeo de Derechos Humanos, la limitación del derecho a la propiedad es manifiestamente desproporcionada, y por tanto ilegítima, cuando el equilibrio entre los fines represivos y aflictivos por un lado y el sacrificio sufrido por el transgresor por el otro otro está comprometido otro (entre otros, Tribunal Europeo de Derechos Humanos, 15 de noviembre de 2018, Togrul v. Bulgaria).

El Tribunal de Estrasburgo, en particular, al reconocer este posible control sobre las acciones de los Estados, lo ha convertido en un ejercicio significativo a lo largo de los años.

De hecho, las primeras sentencias del TEDH se remontan a hace una década, afirmando que puede ser relevante en el ámbito del citado art. 1 una aplicación desproporcionada de medidas cautelares pro-fisco (ver, por ejemplo, TEDH, 1 de febrero de 2011, Metalco vs Hungría, sobre la incautación de activos de valor desproporcionado en comparación con la deuda tributaria).

Por tanto, siempre debe lograrse un «equilibrio adecuado» entre las necesidades del interés general de la comunidad y las necesidades de protección de los derechos fundamentales de la persona.

 

Avv. Matteo Demetri